STORIA di GORIZIA

fonti wikipedia.org

Età preromana

 

Le prime consistenti testimonianze della presenza di vita umana nella zona di Gorizia risalgono al Neolitico, epoca in cui si diffonde l'agricoltura e, con essa, i primi insediamenti stabili nella pianura isontina. Da tale epoca le tracce archeologiche divengono sempre più frequenti e significative e ne fa fede la Collezione Archeologica dei Musei Provinciali di Gorizia che custodisce oggettistica di vario tipo in pietra lavorata. I ritrovamenti principali furono effettuati nella zona del Preval, una palude oggi prosciugata in cui furono rinvenuti resti di insediamenti palafitticoli.
Già nel tardo bronzo (seconda metà del II millennio a.C.), si registra in zona, secondo l'archeologo Carlo Marchesetti e la prof.ssa Paola Guida Cassola, l'arrivo di genti più evolute la cui cultura di riferimento è quella dei castellieri, villaggi fortificati abitati da gruppi umani con cognizioni agricole e silvo-pastorali relativamente sviluppate.
Tali genti, soppiantarono in breve i cacciatori-raccoglitori residenti nelle caverne. La cultura dei castellieri, diffusa dalla Dalmazia al Friuli era presente più sul Carso goriziano (insediamenti di San Polo, Castellazzo di Doberdò, alture di Polazzo) che in pianura, dove i villaggi erano difesi da fossati e palizzate.

   
Età antica e medievale

« MEDIETATEM UNIUS CASTELLI DICTI SYLICANI ET VILLAE QUAE CLAVONICA LINGUA VOCATUR GORIZA.»

Nell'area dove attualmente si trova la città di Gorizia sorgevano, fin dal I secolo a.C., due centri abitati romani di modesta entità, Castrum Silicanum e Pons Aesontii. Dal primo trasse origine il villaggio di Salcano, oggi un sobborgo di Nova Gorica in territorio sloveno denominato Solkan, mentre il secondo era situato sulla via Gemina, nel punto in cui attraversava il fiume Isonzo.

 Il nome di Gorizia compare tuttavia per la prima volta nell'anno 1001, in una donazione imperiale che Ottone III fece redigere a Ravenna, mediante la quale egli cedeva in parti eguali il castello di Salcano e la villa denominata Goriza (medietatem predii Solikano et Gorza nuncupatum), a Giovanni, patriarca di Aquileia, e a Guariento, conte del Friuli. La località è ricordata successivamente nel 1015 (medietatem unius villae que sclavonica lingua vocatur Goriza). Gli Eppenstein ressero Gorizia fino al 1090 e, a partire da tale data, la città fu governata prima dai Mosburg, poi dai Lurngau, una famiglia originaria della Val Pusteria imparentata con i conti palatini di Baviera. Con costoro si accrebbe la popolazione della città, costituita in massima parte da friulani (artigiani e mercanti), tedeschi (impiegati nell'Amministrazione) e sloveni (agricoltori), questi ultimi insediati generalmente nelle zone periferiche e nei centri rurali limitrofi. La bellicosità di tale famiglia, unitamente a una saggia politica matrimoniale, permise alla contea, nel suo periodo di massimo splendore (seconda metà del XIII e primi decenni del XIV secolo) di estendersi su gran parte del nord est italiano comprese per un breve periodo anche le città di Treviso e Padova in Veneto), su parte occidentale dell'odierna Slovenija e su alcune zone dell'attuale territorio austriaco. I conti avevano fissato la propria residenza abituale nella città austriaca di Lienz, mentre a Merano si trovava la principale zecca dello Stato.

Durante il regno di Enrico II (1304-1323) l'abitato, che ormai aveva acquisito delle connotazioni tipicamente urbane, ottenne il rango di città. Nei primi decenni del secolo successivo, l'assorbimento dello Stato patriarcale di Aquileia da parte della Repubblica veneta, indusse i conti di Gorizia a richiedere al doge l'investitura feudale (1424). Con tale atto essi si riconobbero vassalli della Serenissima, Stato successore del Patriarcato. Nel 1455 vennero incorporati a Gorizia, mediante l'estensione dei privilegi cittadini, anche i quartieri non murati della zona meridionale (la cosiddetta Città bassa), abitati in parte da sloveni.

 
Età moderna

Nel 1500 l'ultimo conte, Leonardo, morì senza discendenti nella città di Lienz, e lasciò in eredità la contea a Massimiliano I d'Asburgo. L'atto, ritenuto non valido secondo il diritto internazionale del tempo, dal momento che la Contea di Gorizia era unita alla Repubblica veneta da vincoli di vassallaggio, spinse la Serenissima a denunciare attraverso i canali diplomatici, tale violazione. Ogni tentativo veneziano di riappropriarsi della città, anche mediante la forza, risulterà tuttavia vano. Fra l'aprile del 1508 e l'agosto del 1509 Gorizia fu occupata militarmente da Venezia, allora in guerra anche contro Luigi XII di Francia. Pochi mesi dopo la disastrosa sconfitta di Agnadello, ad opera delle armi francesi, la guarnigione veneta fu costretta ad abbandonare la città.

Gorizia farà da allora parte dei domini asburgici, prima come capitale dell'omonima contea, e, successivamente, come capoluogo della Principesca Contea di Gorizia e Gradisca che, dalla metà dell'Ottocento entrò a far parte del Litorale Austriaco. Suoi conti saranno gli stessi imperatori asburgici fino al 1918, salvo una breve interruzione: l'occupazione francese del 1809-1813 con l'inclusione della città nelle Province Illiriche, create da Napoleone nell'ambito del suo Impero.

 

GORIZIA
La "Nizza austriaca"

 

Alla fine dell'Ottocento Gorizia sviluppò inoltre una spiccata vocazione turistica, grazie ad un clima relativamente mite, alla tranquillità dei suoi ritmi di vita, al fascino delle sue architetture barocche e neoclassiche. La città costituì per lungo tempo una meta privilegiata di vacanze per la nobiltá mitteleuropea e luogo di riposo per molti alti funzionari imperiali, ricevendo, fin dall'Ottocento, l'appellativo di Nizza austriaca.

Durante gli anni che passarono alla Storia come Belle époque, Gorizia fu abbellita da molte ville residenziali, da alcuni alberghi di lusso e da un notevole numero edifici pubblici, di parchi e di monumenti, che contribuirono a conferire alla città quel nobile aspetto che ha mantenuto, nonostante le distruzioni sofferte nelle due guerre mondiali, fino ai giorni nostri.

 
1° e conflitto mondiale

« ...O Gorizia, tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza; dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu... »

(Ritornello di una canzone popolare cantata durante la prima guerra mondiale dai militi italiani)

 

Nel corso della prima guerra mondiale, a prezzo di enormi sacrifici umani, le truppe italiane entrarono una prima volta a Gorizia nell'agosto 1916.

Persa a seguito della rotta di Caporetto (ottobre 1917), la città venne definitivamente ripresa dall'esercito italiano il 7 novembre 1918.

All'interno del Commissariato Generale della Venezia Giulia, gli italiani preferirono inizialmente non stravolgere un tessuto amministrativo pluricentenario ed efficiente. La Contea cambiò nome in Provincia subito dopo l'unione ufficiale al Regno d'Italia (10 settembre 1919). Con l'avvento del fascismo Gorizia fu assegnata alla Provincia di Udine per poi (1927), essere rieretta a capoluogo di provincia e incorporata nella regione giuliana.

La sua giurisdizione comprendeva l'intero Friuli orientale, ad eccezione della Bisiacaria e di Grado, unite alla Provincia di Trieste, e del distretto di Cervignano, facente parte della Provincia del Friuli.

L'opera di ricostruzione fu effettuata soprattutto durante il ventennio fascista. In quegli anni furono promossi interventi di risanamento, aperte nuove strade e sviluppata una modesta area industriale. Vennero edificati un nuovo cimitero, tra Sant'Andrea e Merna, e le prime strutture funzionanti dell'aeroporto, da cui nel luglio del 1935 decollò la 41.a squadriglia per la conquista dell'Etiopia.

A sud-est del centro cittadino spuntò una cittadella sanitaria, comprendente anche l'ospedale da cui, negli anni 60', il medico Franco Basaglia avrebbe dato avvio alla riforma dell'istituzione psichiatrica italiana.

Tuttavia, come ha messo in evidenza Elio Apih, riferendosi all'intera Venezia Giulia, «...questi investimenti non solo soddisfacevano solo in parte modesta le esigenze della popolazione, ma erano anche assai poco organicamente distribuiti, per lo più secondo la logica di interessi cittadini e industriali o comunque politici.»

Per quanto riguarda i rapporti interetnici, fin dalla metà degli anni venti il regime fascista aveva iniziato ad applicare anche a Gorizia, come nel resto della Venezia Giulia, la politica di snazionalizzazione delle minoranze slave presenti sul territorio. Si diede prima l'avvio all'italianizzazione dei toponimi, poi, dal 1927, si procedette anche a quella dei cognomi e, nel 1929, l'insegnamento in sloveno venne definitivamente bandito da tutte le scuole pubbliche cittadine di ogni ordine e grado. In città la lingua slovena fu ancora utilizzata per alcuni anni negli Istituti religiosi diocesani, grazie alla protezione e al prestigio personale dell'arcivescovo di Gorizia Francesco Borgia Sedej, fautore del dialogo interetnico e massimo punto di riferimento dei cattolici goriziani. Nel 1931, subito dopo le dimissioni e la morte di Sedej, lo sloveno fu estromesso, come idioma veicolare, anche dalle scuole diocesane.

Tale politica vessatoria, accompagnata dalle solite violenze, sopraffazioni e assassinii (fra cui anche quello del compositore sloveno Lojze Bratuž, in una frazione di Gorizia) da parte delle squadre fasciste, ebbe pesanti ripercussioni nei già deteriorati rapporti fra le nazionalità e suscitò una reazione altrettanto brutale da parte delle organizzazioni terroriste slovene come il TIGR. Nel 1928 vennero assassinati a Gorizia, da alcuni militanti di quest'ultima organizzazione, lo studente Antonio Coghelli e il soldato Giuseppe Ventin che era intervenuto per impedirne l'omicidio. A partire dal 1941, scoppiata la guerra contro la Jugoslavia, le autorità fasciste procedettero all'internamento in campi di lavoro (Arbe, Gonars, Visco, Poggio Terza Armata), di un certo numero di "allogeni" (o "alloglotti") residenti sia in città che nella sua provincia, molti dei quali non fecero più ritorno, decimati dalle malattie e dall'inedia.

Nel corso della seconda guerra mondiale, subito dopo la resa italiana dell'8 settembre 1943, il Goriziano fu teatro di un'eroica resistenza all'invasione nazista che dalla città capoluogo prese nome "battaglia di Gorizia". Per un breve periodo (1943-1945) fu posta sotto l'amministrazione militare tedesca (di fatto un'annessione) e inclusa nell'Adriatisches Küstenland (Litorale Adriatico), un Governatorato che a sua volta venne posto sotto il diretto controllo di Friedrich Rainer, Gauleiter della Carinzia.

Con l'arrivo dei partigiani jugoslavi a Gorizia nel maggio del 1945 iniziarono le repressioni che toccarono l'apice fra il 2 e il 20 maggio nei confronti degli oppositori, o possibili oppositori, al regime (italiani soprattutto, ma anche slavi). Si contarono un numero imprecisato di civili scomparsi (fra i 202 e i 665) e fra i militari presenti nel goriziano (635 vittime, secondo un'autorevole testata italiana)

Al termine del conflitto, con il trattato di pace, il comune dovette cedere i tre quinti circa del proprio territorio alla Jugoslavia con il 15% della popolazione residente. Il centro storico e la massima parte dell'area urbana della città restarono però in territorio italiano.

   
Dopoguerra e ripresa

In territorio jugoslavo restò tuttavia parte della periferia situata a settentrione e ad oriente (le frazioni di Salcano, San Pietro e Vertoiba) come anche gran parte della provincia. Il confine attraversava una zona semicentrale della città lasciando nella parte non italiana, oltre alle frazioni summenzionate, anche molti edifici e strutture di pubblica utilità. Tra queste ultime la stazione ferroviaria di Gorizia Montesanto che si trovava sulla linea ferroviaria Transalpina collegante la "Nizza austriaca", come veniva chiamata la città, all'Europa Centrale. La piazza antistante la stazione, suddivisa tra le due nazioni, fin dal 2004 è stata resa visitabile liberamente su entrambi i lati dopo l'abbattimento di parte della rete confinaria avvenuto con l'entrata della Slovenia nell'Unione Europea. Al centro di essa sorgono un mosaico ed una piastra metallica commemorativa che segna il tracciato del confine di stato.

In territorio sloveno si trova anche la moderna città di Nova Gorica, eretta negli anni cinquanta per volontà della dirigenza politica jugoslava in quanto i territori della Provincia di Gorizia annessi alla Jugoslavia, chiusa la frontiera con l'Occidente considerato nemico, erano rimasti senza un centro amministrativo ed economico verso il quale potessero gravitare.

Paragonata a Berlino, tagliata in due dal confine protetto da torri armate di mitragliatrici, Gorizia ha rappresentato, nella seconda metà degli anni quaranta e negli anni cinquanta, un valico clandestino per molti cittadini jugoslavi e dei paesi del patto di Varsavia ed un rifugio sicuro per tanti esuli giuliani, soprattutto istriani, integratisi perfettamente nel tessuto economico e sociale della città. In realtà, dopo la rottura di Tito con i paesi del blocco sovietico nel 1948, Gorizia, pur vivendo diversi momenti di tensione (nel 1953 Tito minacciò di voler prendere Gorizia e Trieste con le armi, radunando centinaia di migliaia di reduci a Okroglica, meno di 10 km via dalla città), vide i rapporti normalizzarsi progressivamente, soprattutto grazie agli accordi di Udine con cui venne introdotto il "lasciapassare" che semplificava le procedure per varcare la frontiera. Nel corso degli anni sessanta, Gorizia ha avviato un rapporto di buon vicinato con la consorella slovena (all'epoca jugoslava), sorta nel decennio immediatamente successivo alla definizione del confine del 1947: infatti, incontri culturali e sportivi hanno spesso messo in contatto e unito le due città. La presenza di una comunità slovena a Gorizia ha giocoforza catalizzato la collaborazione. Gli accordi di Osimo, sancendo definitivamente lo status quo confinario, contribuirono molto alla rappacificazione definitiva con la Jugoslavia, e poi con la successiva Repubblica di Slovenia. A tutt'oggi permangono deboli attriti tra le due città, in particolare su temi quali l'inquinamento transfrontaliero, le rivendicazioni degli esuli giuliani per un equo risarcimento per i beni loro sottratti, lo sfruttamento idroelettrico del fiume Isonzo, da parte slovena viene ancora rinfacciato, seppur raramente, il nefando ventennio fascista. Una barriera è rappresentata dalla lingua: pochi giovani goriziani non appartenenti alla minoranza slovena conoscono lo sloveno, pertanto, benché molti sloveni conoscano l'italiano, potrebbe esserci un problema di incomunicabilità per il futuro.

   
Gorizia europea

Il 21 dicembre del 2007 la Slovenia è entrata a tutti gli effetti nel trattato di Schengen e le città di Gorizia e Nova Gorica sono oggi finalmente senza interposti confini. Il legame sempre più forte che le unisce ha permesso alle due città di avviare un processo di formazione di un polo di sviluppo unico che riveste e rivestirà sempre più una notevole importanza ai fini della cooperazione e collaborazione fra l'Italia e la Slovenia. A tale proposito sono stati messi a punto recentemente progetti di mutuo interesse e una serie di incontri bilaterali o multilaterali che interessano non solo i due municipi ma anche altri centri limitrofi. Fra questi ultimi, a titolo indicativo, gli incontri che si tengono periodicamente fra le giunte municipali di Gorizia, Nova Gorica e San Pietro-Vertoiba per mettere a punto strategie comuni e creare nuove sinergie per lo sviluppo economico della regione.

   
Onorificenze

 La città di Gorizia è tra le città decorate con Medaglia d'Oro come "Benemerite del Risorgimento nazionale" per le azioni altamente patriottiche compiute dalla città nel periodo del Risorgimento. Periodo, definito dalla Casa Savoia, compreso tra i moti insurrezionali del 1848 e la fine della prima Guerra Mondiale nel 1918. È tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stata insignita della Medaglia d'Oro al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la guerra mondiale.

Medaglia alle Città Benemerite del Risorgimento Nazionale

«In ricompensa delle benemerenze acquistate nella lotta sostenuta in difesa della nazionalità italiana e per il lungo martirio di guerra eroicamente sopportato. Impegnata già dal 1815 nel movimento di liberazione nazionale, Gorizia costituì uno dei centri più attivi dell'irredentismo italiano fra il 1866 e il 1918. Il 9 agosto 1916, cinque giorni dopo la battaglia dell'Isonzo, costata 20.000 morti, le truppe italiane occuparono la città.»

Medaglia d'oro al valor militare

«Luce di civiltà italiana da secoli lontani; speranza d'eroi che per lei offrirono la vita congiungendola alla Patria nel ciclo conclusivo del Risorgimento; intrepida sempre nella difesa delle sue tradizioni; dava, anche nelle recenti fortunose vicende, col sangue dei suoi figli, la prova del suo indistruttibile patriottismo, segnando di luce gloriosa l'epopea partigiana. Sacra agli Italiani, per la sua incorruttibile fede e per le chiare gesta dei suoi figli, ormai affidate alla storia. Esempio di quanto possano l'animo ed il braccio nella difesa dei vincoli della stirpe e della civiltà, monito alle generazioni future dell'Italia e del mondo.»

 1848 - 1870; 1915 - 18; 1943 - 47